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TUTTI GLI UOMINI DEL PRESIDENTE
(ALL THE PRESIDENT'S MEN)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 9 dicembre 1976
 
di Alan J. Pakula, con Robert Redford, Dustin Hoffman, Jack Warden, Hal Holbrook, Jason Robards, Martin Balsam, Jane Alexander, Stephen Collins, Ned Beatty, F. Murray Abraham (Stati Uniti, 1976)
La storia la conoscete, è quella del Watergate. Era, anzi, uno dei dubbi suscitati dall'impresa: occuparsi di qualcosa ancora troppo fresco, senza il distacco del tempo. E poi: occuparsi di qualcosa del quale si conosce già la "fine", e camuffarlo (commercialmente) da giallo. E poi ancora: doverlo trascrivere rispettando scrupolosamente la verità dei fatti. Proprio perché storia cosi recente.

Insomma, l'idea (che è di Robert Redford, occorre segnalarlo) era bella e buona, ma non cosi facile come potrebbe sembrare a posteriori. Sentiamo cosa diceva Redford (che è bravissimo nel film, ancora più aderente al ruolo del pur perfetto Dustin Hoffman): "Quello che mi affascinava di questa storia è che mi ricordava la faccenda di Davide e Golia. Com'è possibile che due piccoli giornalisti del Washington Post, Bob Woodward e Carl Bernstein, osino fare quello che nessuno si arrischia a fare? Perché i celebri giornalisti politici non fanno quello che, in fondo, ci aspettiamo da loro? Due individui insignificanti hanno la forza di intraprendere qualcosa che finirà per abbattere le persone più potenti del paese. Si tratta di qualcosa che probabilmente non sarebbe successa in nessun altro posto al mondo. Nessuno può vantarsi di avere una società altrettanto libera della nostra. Mi piacerebbe esplorare tutto questo in un film".

TUTTI GLI UOMINI DEL PRESIDENTE è un film più che notevole: in esso sono quasi del tutto assenti i voli nazionalistici di Redford, più o meno giustificati (il discorso ci porterebbe lontano), ma che avrebbero comunque trasformato l'opera in un compiaciuto inno alla "viva noi, pionieri che dai tempi del Far West ci siamo creati la libertà democratica, le nuove frontiere, arrivano i nostri, glory, glory alleluiah". Alan Pakula è un uomo di misura, intelligente. Ed è anche un regista vero. Sacrosanto potere del linguaggio cinematografico, quando è usato con la testa invece che con i piedi, come di solito: tutto il fascino del film, la sua onestà, la sua verità, la sua forza (anche commerciale, certo) proviene dal fatto che Pakula è capace di fare del cinema.

Con due tipi che telefonano e scrivono a macchina, Pakula è riuscito a fare quello che è probabilmente, dopo lo splendido TEMPESTA A WASHINGTON di Otto Preminger (1962), il miglior film americano sull'inferno del potere. Sui due grandi poli che regolano l'America di oggi, la politica e l'informazione. Ritmo del montaggio, del dialogo, sceneggiatura impeccabilmente asciugata, grande direzione d'attori. Non solo, ma la facoltà di trascendere dal quotidiano più immediato (la redazione di un giornale, le telescriventi, la televisione, il traffico cittadino, un gigantesco autosilo) al fantastico, all'irreale, all'eterno. Due uomini, Redford e Hoffman. A contatto di loro, ma già più in alto i capo-redattori, i direttori, i padroni del giornale. I primi ostacoli, le prime censure. Poi le reticenze dei testimoni più piccoli, le segretarie, gli impiegati. L'omertà. Poi sempre più in alto, fino a Nixon,

Ma il mondo esterno, i potenti, Redford e Hoffman non li toccano. Li vedono su uno schermo, li ascoltano al telefono. Privati di una loro vita familiare, anonimi in una società stilizzata, essi vengono cosi confrontati ad un mondo astratto, lontano,che solo la tecnologia mette a contatto. L'ostilità, il pericolo è nell'aria, latente. Ma anch'esso quasi metafisico.

La violenza, straordinaria come il suspense, è tutta morale ed astratta. Pendiamo dalle labbra degli attori in attesa di una replica al telefono, cerchiamo ansiosamente di udire, dal ricevitore, cosa sta replicando "quell'altro". Straodinario Pakula: è riuscito a trasformare il più vecchio procedimento del cinema, la telefonata (quella che fanno mirare agli aspiranti attori nei provini), in un'arma micidiale di espressione, nella chiave usata da due uomini giusti alla ricerca della verità.

Straordinario cinema: trasformare una serie di fascicoli noiosi, di nomi e fatti in parti anonimi, di date, di elenchi, di numeri, in un inno all'intelligenza, alla perseveranza, all'onesta. Su uno schermo si tracciano dei segni: e con questi si può riuscire ad esprimere tutto. Anche quelle storie delle quali si dice, a priori: interessante, ma non si può farne un film.


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